«Anche sulla rappresentatività femminile delle imprese arriverà presto un giudizio stile trip advisor: meglio prepararsi». Ne è sicura Chiara Mio, docente universitaria, intervenuta all'incontro organizzato dall'Osservatorio Professionale Donna, che raccoglie imprenditrici e professioniste del nord est italiano.
Il 20% fino al 2014 e un terzo dal 2015: sono le “quote rosa” stabilite nel 2012 dalla legge “Golfo - Mosca” per i consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa e per le società con capitali pubblici. Le quote vanno applicate alle naturali scadenze del Consigli stessi, pertanto a mano a mano che i cda vanno a rinnovarsi, devono (dovrebbero) adeguarsi alla nuova disposizione e alla nuova quota.
Per quanto riguarda il Veneto, le donne nei consigli di amministrazione delle aziende private quotate sono oggi il 22,5%, al di sotto della media nazionale che ha già raggiunto il 26%. Lo evidenzia l'Osservatorio Professionale Donna, comparando i dati attuali con lo studio presentato in occasione dell'entrata in vigore della legge nel 2012: allora la presenza femminile nelle SpA venete private quotate in borsa si fermava al 7,8%, appena un terzo della situazione attuale.
«La piccola media impresa che ha fatto le fortune del nord est - commenta la padovana Lisa Zanardo, coordinatrice dell'Osservatorio - ha sempre avuto un buon equilibrio di genere proprio per la sua natura familiare: in Veneto nascono circa 300 imprese femminili all'anno e quasi il 30% delle imprese del Nordest è guidato da una donna».
«Per le grandi aziende questa è l'occasione per portare al proprio interno nuovi stimoli e nuove professionalità - conclude Zanardo -. Da uno studio internazionale svolto da McKinsey ed American University, le società con un migliore equilibrio di genere hanno performance migliori: il risultato operativo delle aziende con team manageriale diversificato supera del 14% quello delle imprese con sole figure maschili ai vertici».
«La scarsa presenza femminile nei cda delle società quotate - aggiunge Mio -, oltre a fornire un'immagine arretrata del nostro Paese, alla lunga potrebbe scontentare il consumatore, oggi sempre più evoluto e attento anche all'equilibrio di genere. Presto la rete comincerà a confrontare le aziende anche su questi aspetti, con conseguenti azioni di rifiuto per chi non è in linea. Inoltre, vi è anche un aspetto antieconomico di mancata valorizzazione del talento femminile: l'azienda dapprima investe in formazione senza distinzione di genere e poi di fatto rinuncia al valore che potrebbe ricavare da una parte delle sue risorse».
Tratto da: Il Gazzettino del 29 agosto 2015