Il lavoro che (non) c'è

Fra cervelli in fuga e nuove priorità, a fatica decollano occupazione e crescita
 
Moderni Peter Pan, alla ricerca del lavoro (o forse ancora dell’isola) che non c’è, i giovani di oggi presentano un loro sistema di valori diverso da quelli delle generazioni che li hanno preceduti.
 
Recenti sondaggi, svolti un significativo campione di under35 a livello nazionale, evidenziano come solo il 32% dei giovani ritenga il lavoro una priorità. Si posiziona di fatto all’ottavo posto, nella scala di interessi e di valori dei nostri ragazzi.
 
Grande spazio è dato ai sentimenti, alle sensazioni, al modus vivendi: il rispetto (50%), l’onestà (44%), la libertà (42%), l’amicizia (41%), la sincerità (37%), il senso della famiglia (36%), la fedeltà (32%) precedono e affiancano quel “lavoro” che per i loro genitori e i loro nonni era l’indispensabile strumento per affermarsi e per coltivare la dignità individuale in epoche storiche di sacrificio e di grande sviluppo del Paese.
 
Il 65% dei giovani intervistati ritiene fondamentale che l’occupazione scelta garantisca flessibilità e opportunità continuative e strutturate di smart working. Una delle prime domande dei candidati ai colloqui di selezione è proprio questa, se sia regolamentato il lavoro agile, così da consentire di operare da remoto, arginando lo stress dei trasferimenti casa-ufficio e predisponendo a ritmi più casalinghi e rilassati.
 
Il 40% del campione teme lo sfruttamento nel luogo di lavoro, con orari dilatati e straordinari frequenti. e ritiene valorizzanti le esperienze professionali che promuovano la meritocrazia, l’inclusione e la solidarietà, l’attenzione alla sostenibilità sociale ed ambientale, il focus sui benefici della tecnologia.
 
Quasi la metà degli intervistati considera il lavoro una opportunità di reddito (il dato è più marcato nelle Regioni del Sud), ritenendo marginale la crescita individuale e la soddisfazione che possano derivare dalle attività lavorative.
 
Un altro dato fa riflettere: si stima che tra il 2011 al 2021 quasi 1,3 milioni di italiani fra i 20 e i 34 anni sono emigrati all’estero nei Paesi economicamente più avanzati, per cercare opportunità di lavoro qualificanti. Secondo gli economisti, all’estero il lavoro premia i giovani e le carriere sono più rapide (più rapido è anche il percorso scolastico, che si conclude mediamente almeno 2 anni prima rispetto al nostro), i giovani vengono responsabilizzati, resi autonomi sul piano decisionale, ascoltati e se meritevoli innalzati ai più alti gradi di un’azienda, a prescindere dall’età e dal titolo di studio.
 
Il quadro non appare confortante anche osservando qualche dato, piuttosto evidente, rispetto all’occupazione femminile, che coinvolge solo il 50% delle signore. Più brave a scuola ma meno occupate, e ancora poco rappresentate nei ruoli apicali e di responsabilità.
 
Eppure la Carta Costituzionale che nel 1946, usciti dal secondo grande conflitto mondiale, abbiamo varato con grande impegno dei Padri costituenti, esordisce in modo chiaro: il lavoro è fondamento del nostro Paese, che si adopera per garantirlo e difenderlo senza discriminazioni di sorta.
 
Oggi l’Italia risulta invece poco attrattiva: per chi resta il lavoro non è prioritario, ma un semplice mezzo di sostentamento. Presenziare e scambiare esperienze con i colleghi, condividere idee e progetti non è più un valore, si predilige il tempo libero e il buon bilanciamento vita-lavoro, con tempi e spazi domestici più ampi, garantiti dalle modalità agili.
 
Chi si reca all’Estero per cercare maggiori soddisfazioni e una mentalità più aperta alle nuove generazioni difficilmente torna indietro: le istituzioni hanno peraltro limitato le agevolazioni disposte a suo tempo per incoraggiare il “rientro dei cervelli”, più remunerati e valorizzati oltreconfine.
 
Il rischio è che il Paese involva, in una spirale di insoddisfazione giovanile da un lato e mancanza di fiducia da parte del sistema dall’altro, alla ricerca di valori effimeri e di un bilanciamento vita-lavoro auspicabile ma non realizzabile, per le dinamiche e la mentalità che orientano il sistema industriale e istituzionale.
 
Alla ricerca dell’isola che non c’è, rischiamo di perdere grinta, unicità, bellezza.
 
 
 
Tratto da: Dentrocasa luglio 2024