La valutazione individuale nel periodo di emergenza da Covid-19

In questo articolo vengono trattati i riflessi dell’attuale periodo emergenziale sui processi di valutazione individuale e sul ciclo della performance.
 
Lavoro agile, rapporto di lavoro e valutazione della performance individuale
 
L’emergenza epidemiologica determinata dalla diffusione pandemica del virus Covid-19 ha posto le Amministrazioni Pubbliche di fronte a problematiche di gestione dei rapporti di lavoro che hanno riguardato la maggior parte degli istituti giuridici ed economici.
La stessa previsione secondo la quale ordinariamente la prestazione lavorativa deve svolgersi secondo il paradigma del lavoro agile (art. 87, comma 1, D.L. n. 18/2020), impone nuove modalità spazio-temporali di gestione del rapporto di lavoro; le amministrazioni si sono trovate a dover precipitosamente, con una corsa contro il tempo, definire regole interne, nell’esercizio del potere datoriale, per consentirne l’immediata attivazione. Ci troviamo, ancora una volta, di fronte ad un quadro normativo che, da molto, troppo tempo, è rimasto del tutto inattuato, sia per l’eccessiva lentezza di elaborazione delle linee-guida ministeriali previste dall’art. 14 della Legge n. 124/2015, sia perché si tratta di temi che richiedono un deciso cambio culturale e di approccio all’organizzazione del lavoro ed implicano una conoscenza dei processi presidiati e dei risultati che tali processi sono in grado di restituire; solo in questo modo il nuovo paradigma potrà prevedere modalità di verifica della prestazione lavorativa, ancora fortemente condizionata dalla struttura dell’orario di lavoro e dalla rilevazione della presenza in servizio secondo sistemi automatizzati.
Se ciò è vero allora i riflessi sul sistema valutativo e sul ciclo della performance costituiscono una opportunità da cogliere e sviluppare adeguatamente. Sono decenni che si chiede alle pubbliche amministrazioni il superamento della cultura “adempimentale” per concentrare l’attenzione sui risultati e sono almeno dieci anni, dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2009, che tra i requisiti degli obiettivi di performance troviamo, cristallizzato in un testo normativo, la capacità di “tendere al miglioramento della qualità dei servizi e degli interventi”. Si tratta di un requisito che non risponde tanto all’esigenza di migliorare i livelli prestazionali in termini assoluti, ma che richiede e interroga sulla necessità che gli obiettivi di performance siano accompagnati da un apparato motivazionale (o analisi di contesto) che consenta di spiegare le ragioni per le quali gli obiettivi siano in grado, secondo la situazione di contesto organizzativo e sulla base delle risorse disponibili, di restituire un effettivo miglioramento qualitativo o anche “solo” di impedire un peggioramento quando ci si trova di fronte a criticità esogene al sistema pubblico che siano inesorabilmente non governabili con gli strumenti a disposizione.
Il lavoro agile impone di correlare la prestazione lavorativa ai risultati e per poterli pianificare e valutare è necessario che gli organi di direzione abbiano una piena e completa conoscenza dei processi presidiati; se poi vogliamo che questi risultati diventino rilevanti ai fini della performance organizzativa e individuale dobbiamo essere in grado di valorizzarne l’importanza, la tangibilità e la significatività e valutare l’impegno aggiuntivo, in termini qualitativi, che si richiede al personale coinvolto.
Non è un caso che le criticità più rilevanti nell’avvio del lavoro agile si sono colte in quelle amministrazioni che non hanno proprio definito un percorso di adeguamento alle prescrizioni di cui al citato art. 14 della Legge n. 124/2015, il quale imponeva alle amministrazioni di adottare le misure organizzative in grado di rendere possibile l’accesso al lavoro agile, per finalità che non erano legate alla diffusione epidemiologica di un virus, bensì di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ad almeno il 10% dei dipendenti interessati nel triennio successivo all’entrata in vigore delle disposizione.
Oggi, in piena emergenza sanitaria che impone misure di limitazione della circolazione delle persone e di distanziamento sociale, abbiamo assistito in alcuni casi all’assurdo di dirigenti che chiedevano ai propri collaboratori l’attestazione della presenza in servizio ovvero l’attestazione dell’ora di inizio e di fine della prestazione lavorativa, oppure di dipendenti che chiedevano l’erogazione del buono pasto; nel primo caso emergeva in modo evidente l’impreparazione verso una gestione del nuovo paradigma basato obbligatoriamente sul controllo e la verifica dei risultati della prestazione e non sulla sua articolazione oraria. Ed è il caso di ripeterlo: se non si conoscono i processi presidiati non possono essere governati ovvero è più semplice controllare la presenza in servizio piuttosto che valutare i risultati.
Ed è in questa situazione emergenziale che affiorano i limiti del corretto sviluppo del potere valutativo dei propri collaboratori che, come è ormai pacifico, è connaturato alla posizione dirigenziale in base all’art. 17 del D.Lgs. n. 165/2001, in modo complementare all’assegnazione tempestiva degli obiettivi individuali: come si fanno a valutare i risultati prestazionali se non si conoscono i processi e conseguentemente non si riescono a governare? Come si fa a definire e assegnare gli obiettivi individuali se non si è capaci di governare i processi? 
Una delle principali sfide derivante dall’introduzione dello smart working nelle pubbliche amministrazioni è il cambiamento della cultura organizzativa. A ben vedere, anche la criticità che spesso veniva evocata circa la difficoltà di accesso ai sistemi informatici in modalità remota, insieme ai problemi di sicurezza, che hanno costituito un alibi all’attivazione del lavoro agile in periodi “normali”, improvvisamente sono stati superati in questo momento di straordinaria emergenza. Si è visto che le nuove tecnologie digitali consentono di superare il concetto della “timbratura del cartellino” e della “presenza fisica” in ufficio e quindi di una prestazione lavorativa svolta in una sede e in un orario di lavoro definiti. Molte attività lavorative possono essere svolte al di fuori della propria sede lavorativa e in orari non necessariamente prestabiliti.
Ciò a fronte di:
a) una cultura manageriale e modelli organizzativi fondati sulla definizione di processi e indicatori, ovvero sulla programmazione e sul perseguimento di obiettivi e quindi sulla misurazione dei risultati, piuttosto che sul numero di ore lavorate;
b) una maggiore autonomia e capacità decisionale, unite alla flessibilità, riconosciuta ai lavoratori, sviluppando negli stessi una responsabilità di risultato piuttosto che di mera prestazione, nonché una maggiore motivazione tenuto conto anche degli effetti sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
c) relazioni professionali fondate sulla fiducia e sulla gestione intelligente del lavoro, stimolando comportamenti virtuosi e favorendo uno spirito di collaborazione e valorizzazione dei talenti;
d) massima comunicazione e condivisione delle informazioni e sistemi tecnologici ed organizzativi che privilegiano l’accesso agli strumenti piuttosto che la titolarità della postazione di lavoro o l’assegnazione della scrivania fissa, arrivando a superare l’identificazione della sede di lavoro con gli spazi messi a disposizione dal datore di lavoro;
e) miglioramento dei servizi, incremento della produttività, maggiore benessere organizzativo e riduzione dei costi.
Partendo da ciò le amministrazioni che più di altre sono state favorite in questo periodo sono quelle che avevano già fatto una mappatura dei processi reale, che ha consentito loro di focalizzarsi sulle attività e sui risultati. Si tratta di quelle amministrazioni che avevano già impostato un percorso per individuare e distinguere le attività (articolazioni dei processi) in ragione del tipo di prestazione e di interazione richieste (es. attività intellettuali fondate sulla concentrazione o sull’elaborazione di proposte, di tipo comunicativo o collaborativo), nonché in ragione dello spazio fisico più idoneo a svolgerle, con conseguente pesatura del grado di mobilità delle stesse ai fini di un corretto svolgimento, attraverso un’analisi combinata dei fattori rilevanti.
Partendo da ciò ciascun titolare del potere direzionale e organizzativo ha potuto utilizzare meglio le caratteristiche comportamentali dei lavoratori, valutando il loro grado di affidabilità, la capacità di organizzazione e di decisione, di propensione all’assunzione di responsabilità, tutti elementi che poi rilevano ai fini della valutazione dei comportamenti professionali e organizzativi.
Le Direzioni del personale sono state quelle normalmente più coinvolte nella progettazione e nell’implementazione dello smart working, avendo un ruolo cardine sia sul fronte del cambiamento organizzativo, della responsabilizzazione e autonomia dei lavoratori, sia su quello del ripensamento delle modalità di prestazione lavorativa in termini di spazi e orari di lavoro, riducendo i tradizionali vincoli con forme di elasticità e flessibilità. In particolare, sono state chiamate a distinguere il lavoro agile dal telelavoro e ad evitare di ridurre la flessibilità ad una mera prestazione lavorativa da casa, mantenendo ferme rigidità che non sono richieste, atteso che l’attenzione si sposta dal rispetto di un orario di lavoro al raggiungimento di un risultato. 
Il lavoro agile nella pubblica amministrazione non richiede nessuna particolare relazione sindacale. Ciò discende dal fatto che l’individuazione delle materie affidate alle diverse tipologie di relazioni sindacali spetta al CCNL che nulla dice in materia di lavoro agile. L’unico eventuale riferimento che spesso viene invocato riguarda l’art. 5, comma 3, lett. a) del CCNL 21 maggio 2018, che affida al confronto sindacale l’”articolazione delle tipologie dell’orario di lavoro”. Ma il lavoro agile non ha nulla a che fare con l’articolazione dell’orario di lavoro, proprio perché si tratta di un modo totalmente diverso di rendere la prestazione che prescinde dalla predeterminazione e dalla collocazione precisa del tempo di lavoro all’interno di una giornata. Insomma, si tratta di una materia che rientra pienamente nelle prerogative datoriali e cioè di determinazioni che riguardano la gestione del rapporto di lavoro per le quali l’informativa è dovuta solo quando prevista dal CCNL. Ed infatti la Direttiva n. 3/2013 del Presidente del Consiglio dei ministri proprio in assenza di una disciplina contrattuale in materia che preveda le modalità e gli istituti della partecipazione sindacale, suggerisce solo l’opportunità di un confronto preventivo con i sindacati.
 
La sospensione dei procedimenti e i riflessi sulla gestione del rapporto di lavoro
 
L’art. 103, comma 1, del D.L. n. 18/2020 convertito con Legge 24 aprile 2020, n. 27, statuisce che ai fini del computo dei termini ordinatori e perentori dei procedimenti amministrativi non si tiene conto del periodo compreso tra il 23 febbraio e il 15 maggio , periodo che potrebbe ulteriormente essere esteso alla luce della evoluzione del rischio di contagio. Il successivo comma 5 del medesimo art. 103, D.L. n. 18/2020 sospende i termini dei procedimenti disciplinari pendenti o iniziati successivamente alla data del 23 febbraio per il medesimo periodo. La precisazione contenuta in quest’ultimo comma è logica conseguenza della natura propria del procedimento disciplinare il quale, costituendo profilo di gestione del rapporto di lavoro, non presenta il carattere giuridico tipico del procedimento amministrativo, posto che costituisce esercizio di potere datoriale di natura privatistica e non pubblicistico-amministrativa. 
Atteso il carattere derogatorio ed eccezionale di tali disposizioni legali, anche in ragione della particolare natura dello strumento straordinario che ne costituisce veicolo normativo, è da ritenersi che le stesse non possano essere estese, utilizzando criteri analogici o assimilativi, per attrarre nella loro orbita regolativa fattispecie che non siano espressamente previste dalla legge, per cui è estraneo alla cornice prescrittiva di tale dettato ogni percorso che non possa, giuridicamente, essere ricondotto alla qualificazione di procedimento amministrativo o di procedimento disciplinare. Non rientrano, conseguentemente, nell’orizzonte attuativo della sospensione dei termini disciplinata dal D.L. n. 18/2020, tutti quei processi e quelle serie di azioni che non possano, a rigore, qualificarsi come procedimenti amministrativi, ovvero come sequenza istantanea o fasica di atti univocamente preordinati alla produzione di un atto avente natura pubblicistico-amministrativa, di talché difficilmente potrebbero ricondursi a tale categoria - in disparte le eventuali previsioni derogatorie indicate dal comma 4 dell’art. 103  che corrobora la portata del principio generale - tutti gli atti gestionali del rapporto di lavoro, in quanto atti di carattere datoriale che presentano la natura giuridica di atti di diritto comune, non annoverabili, pertanto, nel perimetro dei provvedimenti amministrativi. 
In particolare, i termini previsti, dall’ordinamento (art. 10, D.Lgs. n. 150/2009), per la gestione della filiera delle performance, quindi i termini di adozione del piano delle performance e quelli di approvazione della corrispondente relazione consuntivante, non sembrano sfiorati dalla previsione normativa sulla sospensione dei termini, anche in ragione della loro evidente origine ordinatoria, fermo restando che potrebbero essere considerate attività differibili e, quindi, da far rientrare in quelle da sospendere, laddove non sia possibile svolgerle in modalità remota. Analogamente per quanto concerne tutte le fasi della valutazione individuale del personale come scandite dalle discipline interne delle singole amministrazioni così come l’assegnazione degli obiettivi individuali e l’erogazione dei trattamenti accessori in presenza delle condizioni cui l’ordinamento legale e contrattuale subordina la legittima erogazione.
Quindi le norme relative alla sospensione dei termini non possono essere invocate per l’eventuale differimento dei processi connessi alla gestione del ciclo valutativo salvo che siano correlate ad attività che non possano essere in alcun modo espletate con il ricorso al lavoro agile e, quindi, da differire per ragioni, per esempio, legate alla non utilizzabilità da remoto dei sistemi informatici a supporto dei processi valutativi e del ciclo della performance.
 
Ma cosa si può fare in questo periodo?
 
Una volta definito quale sia lo spazio di manovra in relazione ai processi valutativi e al ciclo della performance, quantomeno rispetto agli effetti delle norme che introducono la sospensione dei termini e alle possibilità di differimento di processi che non debbano  essere svolti in presenza sul luogo di lavoro e che non possano essere svolti in remoto, si pone all’attenzione delle amministrazioni quali processi devono e possono essere portati a termine e i riflessi che la situazione emergenziale in atto produce.
Ma per considerare i riflessi sui processi valutativi e sulla definizione degli obiettivi occorre anche considerare la graduale ripresa delle attività produttive che necessariamente impatta anche sul lavoro agile. In questo senso la recente Direttiva n. 3/2020 del Ministro della Pubblica Amministrazione segnala una prima priorità rappresentata dalla revisione delle attività indifferibili e di quelle da rendere in presenza, “anche per assicurare il necessario supporto all’immediata ripresa delle attività produttive, industriali e commerciali secondo quanto disposto dal citato D.P.C.M. 26 aprile 2020”, che evidentemente sono diverse da quelle proprie dell’emergenza epidemiologica.
 
Il piano della performance e l’assegnazione degli obiettivi individuali
 
Come è noto il Piano della performance deve essere adottato annualmente entro il 31 gennaio; si tratta di un termine che pur essendo ordinatorio è bene che venga rispettato per la generale esigenza che gli obiettivi di performance siano assegnati tempestivamente affinché il ciclo valutativo possa correttamente spiegare i propri effetti. D’altra parte, anche l’eventuale differimento del termine di approvazione del bilancio non costituisce condizione legittimante la mancata o ritardata definizione degli obiettivi di performance, non tanto e non solo perché così prescritto dall’art. 5 del D.Lgs. n. 150/2009 e da diffusi orientamenti della magistratura contabile, ma in quanto se così fosse si dovrebbe ritenere che la mancanza di tale strumento fondamentale di programmazione finanziaria impedirebbe radicalmente la possibilità di produrre risultati riconducibili al ciclo di gestione della performance.
L’eventuale ritardata approvazione del piano della performance, possibile quando si tratta di ritardi tecnici legati al processo di elaborazione, costituisce quindi, una patologia del sistema. Ma quelle amministrazioni che erano in ritardo si sono, poi, trovate nella condizione di dover definire gli obiettivi di performance in un contesto, straordinariamente diverso, che ha ridefinito le priorità politiche, le azioni strategiche e i risultati gestionali e, quindi, le motivazioni in grado di dimostrare il rispetto del requisito degli obiettivi di performance di cui si è detto in precedenza. A distanza di qualche mese dall’inizio della emergenza epidemiologica è necessario pervenire senza ulteriore indugio all’adozione del Piano della performance, tenendo conto del nuovo contesto sopravvenuto, senza il quale l’intero ciclo valutativo 2020 rischia di essere travolto con le note conseguenze che ne derivano, ancora più pesanti per il personale dipendente, considerato lo sforzo straordinario cui è stato chiamato ad esprimere.
Analogamente per l’assegnazione degli obiettivi individuali o di gruppo al personale. Il perseguimento degli obiettivi, nel quadro degli indirizzi strategici definiti dall’organo politico di vertice, e l’attribuzione di obiettivi alle risorse umane assegnate al dirigente costituisce un obbligo di carattere generale ed inderogabile per il dirigente stesso, tenuto conto che l’individuazione e l’affidamento di risultati gestionali specifici rientra nell’ambito del governo utilitaristico del rapporto di lavoro, improntato a principi di efficienza ed efficacia cui il dirigente in nessun caso può sottrarsi. Il dirigente, infatti, quale generale dovere di conformità della propria azione al perseguimento degli interessi pubblici (dei quali gli indirizzi strategici costituiscono uno strumento concreto di attuazione), deve adottare ogni azione idonea a consentire il migliore utilizzo delle risorse umane allo stesso affidate, nell’ottica di acquisire la massima utilità dalla prestazione che il dipendente deve rendere all’amministrazione; per cui la preventiva individuazione di specifici risultati da conferire ai propri collaboratori diretti ed il monitoraggio del loro conseguimento rientra, appieno, nel contesto delle azioni doverose cui il dirigente deve attendere. 
 
La valutazione individuale
 
Come si è visto in precedenza nessun riflesso vi può essere in ordine alla chiusura del ciclo valutativo 2019; sicuramente per i contenuti (ovvero gli esiti) in quanto si tratta di un periodo non sfiorato dalla problematica emergenziale che sta interessando invece questi mesi del 2020. Anche il rispetto dei termini, previsti dal sistema di misurazione e valutazione adottato da ciascuna amministrazione, non è influenzato dalla sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi per le ragioni già esposte in precedenza. Le amministrazioni hanno l’unica possibilità di considerare il differimento solo nell’ipotesi e per quelle specifiche fasi in cui lo svolgimento della valutazione richieda l’utilizzo di sistemi informatici che sia impedito dall’esterno. Non può essere invocata la situazione emergenziale, per motivare, per esempio, la difficoltà di svolgimento dei colloqui individuali atteso che sicuramente possono essere svolti in remoto con l’utilizzo delle ormai diffuse e innumerevoli piattaforme tecnologiche.
 
La rimodulazione del Piano e degli obiettivi
 
Le amministrazioni virtuose che avevano tempestivamente approvato il Piano e assegnato gli obiettivi individuali si trovano, comunque, a dover valutare la rimodulazione per tenere conto della situazione sopravvenuta. In linea generale gli interventi rimodulativi degli obiettivi trovano fondamento dal punto di vista metodologico quando si verificano eventi non prevedibili, oggettivi e non riconducibili alla responsabilità delle strutture e delle persone cui gli obiettivi sono assegnati. In tal senso anche l’art. 6 del D.Lgs. 150/2009 laddove dalla verifica dell’andamento delle performance rispetto agli obiettivi “programmati durante il periodo di riferimento” può emergere “la necessità o l’opportunità di interventi correttivi … in relazione al verificarsi di eventi imprevedibili tali da alterare l’assetto dell’organizzazione e delle risorse a disposizione dell’amministrazione”.
Il Piano della performance è un documento di pianificazione e di programmazione di tipo flessibile, da ciò ne deriva la possibilità di revisione nel corso dell’esercizio. L’eventuale rimodulazione infra-annuale del Piano della performance, preceduta da una specifica azione di monitoraggio, deve essere giustificata da eventi che siano tali da incidere in modo significativo sulle strategie dell’ente (modifiche normative, reindirizzamento delle risorse finanziarie, eventi straordinari e imprevedibili, modifiche delle competenze e delle responsabilità) e in questi rientra l’improvvisa e certamente non prevedibile emergenza sanitaria. In tale contesto la modifica del piano deve essere indirizzata verso gli obiettivi, strategici e operativi e i relativi misuratori e target che risultino influenzati da tali eventi.
 
Una possibile configurazione degli obiettivi di performance organizzativa e individuale
 
La revisione, in fase emergenziale, degli obiettivi di performance organizzativa ed individuale presuppone l’intervento su tre direttrici: i processi (e dunque i contenuti dell’azione amministrativa nel suo complesso nonché per ciascuna struttura organizzativa e per ciascun dirigente), gli strumenti operativi (che da tradizionali ed in presenza diventano, forzatamente, innovativi e in modalità agile), le tempistiche.
Come già indicato, le amministrazioni che negli anni hanno svolto ed affinato la mappatura dei processi, sono indubbiamente favorite da questa base di lavoro concreta e completa: è dunque possibile rilevare i processi già digitalizzati (dal pagamento del bollo auto, alla richiesta di un certificato anagrafico), i processi facilmente digitalizzabili (ad esempio i colloqui di valutazione, o la partecipazione a Comitati e cabine di regia), i processi che solo nel medio-lungo termine e con investimenti di rilievo possono essere digitalizzati (quali i meccanismi elettorali) ed i processi che in ambito pubblico non possono essere in alcun modo digitalizzati (dall’assistenza sanitaria a quella scolastica, fino alle attività sul campo della protezione civile).
L’arrivo dirompente dell’emergenza sanitaria ha dunque consentito di assicurare la continuità amministrativa solo di alcuni processi, procedimenti, settori: nonostante il grande impegno, le attività digitalizzabili nel medio-lungo termine necessitano di percorsi, interventi e investimenti da pianificare in modo mirato ed in fase post emergenziale.
La scarsa cultura e propensione all’informatizzazione e alla sistematizzazione dei processi di molte amministrazioni, centrali e periferiche, e l’elevata età media dei dirigenti pubblici, non hanno consentito la completa riconversione delle attività come accaduto in alcune aziende private ed in contesti imprenditoriali e libero professionali, dove il lavoro smart era già gestito e gestibile, e dove gli strumenti informatici sia in termini di hardware (pc e connessione) sia di software (collegamenti ai server aziendali) erano già inseriti in modo stabile nell’ordinaria operatività.
L’evoluzione della mappatura dei processi pubblici, in un’ottica agile, è dunque un obiettivo di performance organizzativa che può permeare l’organizzazione, in modo trasversale; i processi digitalizzati o digitalizzabili si associano dunque a strumenti operativi, quali, a titolo di esempio, le videoconferenze o i collegamenti VPN da remoto, che promuovono nuovi indicatori di efficienza: la condivisione di un documento attraverso lo schermo consente una più rapida e simultanea condivisione delle modifiche; l’erogazione della formazione online o la partecipazione a meeting virtuali garantisce significativi risparmi in termini di spese di trasferta e di tempo dedicato ai trasferimenti per raggiungere la sede del corso formativo, della riunione, del convegno.
Un’ulteriore elemento attiene alle tempistiche, che vanno a incidere in modo particolare sui processi difficilmente digitalizzabili: i processi e gli obiettivi ad essi correlati, che richiedono investimenti e tempi molto lunghi per essere digitalizzati, vengono inevitabilmente procrastinati o rimandati a data da destinarsi (il meccanismo elettorale sopra citato ne è un esempio lampante), con ricadute a volte molto importanti sull’utenza: sul paziente-utente che si trova a dover posticipare interventi chirurgici non a carattere di urgenza o sull’impresa-utente che deve sospendere progetti formativi o investimenti industriali legati ai fondi comunitari e dunque attenderne l’erogazione ben oltre i tempi previsti. In questo contesto, molti obiettivi e indicatori definiti dal Piano della performance, che, come detto, le amministrazioni virtuose hanno approvato entro il 31 gennaio, devono essere comunque oggetto di revisione e sostanziale modifica, non tanto nella modalità ma sicuramente nei tempi, che potrebbero addirittura sforare il ciclo performance 2020 e costituire una prima base di lavoro per il ciclo performance 2021, se non cambiano in modo sostanziale le priorità politiche e le linee guida amministrativa.
Questo percorso, fra processi, strumenti e tempistiche, andrà in ogni caso affrontato sia dalle amministrazioni che già a gennaio si erano date obiettivi di performance, sia dalle amministrazioni che hanno evidenziato ritardi nella formulazione del Piano e nella sua approvazione, e si trovano, ad oggi, a dover definire un documento in modo completamente diverso dagli scorsi anni.
Obiettivi ed indicatori, letti in chiave agile, dovranno dunque permeare sia gli obiettivi di performance organizzativa - l’ente nel suo complesso ha subito uno shock organizzativo come mai prima d’ora, e la mappatura di processo, base per ogni ragionamento evolutivo, è senz’altro un obiettivo trasversale - sia la performance individuale, perché ciascun manager pubblico deve riformulare, per sé e per i propri collaboratori, gli indirizzi specifici dell’attività corrente ma anche dei progetti di più ampio respiro con orizzonte temporale pluriannuale.
 
Il caso della Regione Veneto
 
La Regione del Veneto ha approvato il Piano della performance 2020-2022 il 27 gennaio scorso, con Decreto della Giunta Regionale.
In continuità con il ciclo performance 2019, il Piano 2020-2022 presenta in particolare due obiettivi di performance organizzativa, uno relativo alla mappatura dei processi, e all’analisi del rischio anticorruzione e della normativa privacy, uno relativo al progetto triennale di Lean Management, che nel 2019 ha consentito l’avvio di oltre 540 cantieri di lavoro e di miglioramento, partecipati da tutti i dirigenti e dipendenti regionali.
L’insorgere dell’emergenza sanitaria Covid-19 non ha consentito la declinazione degli obiettivi di Piano a tutte le strutture organizzative e di progetto: la metodologia adottata annualmente dall’amministrazione prevede un incontro plenario fra i vertici amministrativi, l’Organismo Indipendente di Valutazione (OIV) e i dirigenti regionali, in cui vengono presentati gli obiettivi di Piano, con focus sulla performance organizzativa, e le linee guida per la declinazione degli obiettivi individuali da parte dei dirigenti valutatori ai  dirigenti valutati e ai dipendenti del comparto. Tale declinazione avviene attraverso colloqui individuali fra dirigente valutato e dirigente valutatore e attraverso incontri collegiali all’interno di ciascuna struttura. Tali attività sono state opportunamente differite, per concentrarsi sulle attività indifferibili e su quelle legate all’emergenza, afferenti in particolare alle Direzioni con funzioni programmatorie, sanitarie, informatiche, di tutela del territorio, e per cogliere nuovi spunti e riorientare gli obiettivi, in modo da renderli più aderenti alla realtà attuale, consapevoli che l’alternativa sarebbe stata giustificare a fine anno il mancato raggiungimento di obiettivi definiti con contenuti e modalità ordinarie, inapplicabili e non misurabili in una condizione straordinaria di emergenza.
La base operativa di mappatura dei processi, già consolidata ed aggiornata negli anni come primo obiettivo di performance organizzativa dell’ente, ha permesso dunque di orientare l’obiettivo non solo all’adempimento legato alle direttive di ANAC o del Garante della Privacy (come nei precedenti cicli della performance) ma soprattutto all’identificazione dei processi già digitali o facilmente digitalizzabili nel breve termine e dei processi che potranno essere digitalizzati, con un focus anche sul mantenimento di attività e processi da svolgersi con modalità agile anche nella fase post emergenziale e a regime.
Il secondo obiettivo, denominato Lean Management, già indirizzato nel 2019 all’individuazione di progetti e innovazioni organizzative e digitali, viene completamente convertito: si chiede ai dirigenti regionali di descrivere, nel primo semestre, attraverso report guidati, criticità ed opportunità del periodo, e di approfondire, nel secondo semestre, le ricadute organizzative ed economiche sulla propria struttura e sul proprio personale, con uno sguardo importante ad un futuro smart, sia in termini di sicurezza di cittadini, imprese e territorio, sia in termini di efficienza ed efficacia delle attività pubbliche.
Per quanto riguarda gli obiettivi individuali, la loro assegnazione è guidata dai dirigenti valutatori, e seguendo le indicazioni del D.Lgs. 74/2017, viene orientata al monitoraggio della customer satisfaction: le esigenze dello stakeholder vengono messe in primo piano, proprio in questa fase di emergenza, garantendo la continuità del dialogo con le modalità agili.
 
Il caso Veneto Lavoro – Ente regionale 
 

La pandemia sanitaria, e il conseguente lockdown, inducono a pensare ad una prossima pandemia economica, con il conseguente e quasi immediato riflesso sull’occupazione. Una pubblica amministrazione orientata al cittadino non può che operare con responsabilità, ed il caso di Veneto Lavoro è emblematico.

Veneto Lavoro è stato istituito ai sensi dell’art. 8 della Legge regionale n. 31/1998 ed è disciplinato dagli articoli da 13 a 19 (Capo IV) della legge regionale n. 3/2009 “Disposizioni in materia di occupazione e mercato del lavoro”. La norma istitutiva lo qualifica quale Ente strumentale della Regione, con personalità giuridica di diritto pubblico, dotato di autonomia organizzativa, amministrativa, contabile e patrimoniale. La legge n. 3/2009, che ne disciplina le funzioni e l’impianto organizzativo, rafforza rispetto alla legge istitutiva il suo ruolo di sostegno alle politiche del lavoro, in conformità alla programmazione regionale ed agli indirizzi della Giunta regionale ed in stretto coordinamento con i servizi per il lavoro. Il Piano regionale del lavoro 2017/18 prevede l’impegno diretto di Veneto Lavoro nella gestione della rete dei servizi pubblici e privati, nell’implementazione dei sistemi informativi e nella valutazione e monitoraggio delle politiche pubbliche.

L’ente regionale, dunque, è in prima linea nell’emergenza economica, e, pur avendo approvato, entro il termine ordinatorio del 31 gennaio, l’aggiornamento 2020 del proprio Piano performance triennale, ha convertito contemporaneamente le proprie modalità operative e riformulato il proprio cruscotto degli obiettivi individuali, assegnati in particolare ai dirigenti più coinvolti nelle politiche del lavoro e dell’occupazione, che gestiscono le unità organizzative territoriali, già centri per l’impiego provinciali.

La riformulazione ha previsto la modifica di alcuni target, ad esempio, il numero di pratiche di DID (dichiarazione immediata di disponibilità al lavoro) da svolgere, o il numero dei contatti con i lavoratori, e sono state attuate modalità agili di colloquio con l’utenza.

È stato parallelamente definito ed inserito nella scheda di performance un obiettivo progettuale di lavoro agile che definisce per tutto il personale in modo dettagliato tempistiche e attività da svolgere con questa modalità, quali il coordinamento quotidiano video/audio con il proprio responsabile, la gestione on line delle istruttorie e delle verifiche, la risposta telefonica e-mail ai lavoratori e alle aziende.

Rimangono come obiettivi trasversali la mappatura dei processi e la customer satisfaction, che consentono la sistematizzazione degli interventi e degli spunti di miglioramento continuo, da monitorare ed implementare durante e dopo l’emergenza.

 

Il caso AVEPA – agenzia regionale
 
L’Agenzia veneta per i pagamenti in agricoltura (AVEPA) è un ente strumentale istituito nel 2002 dalla Regione del Veneto per svolgere le funzioni di organismo pagatore regionale (OPR) degli aiuti, dei premi e dei contributi nel settore agricolo.
L’AVEPA è un ente di diritto pubblico dotato di autonomia amministrativa, organizzativa, contabile e patrimoniale nei limiti previsti dalla legge istitutiva (Legge regionale Veneto 9 novembre 2001, n. 31); in quanto tale, l’Agenzia è soggetta ai poteri di indirizzo e controllo spettanti alla Giunta regionale, nel rispetto delle forme di autonomia di cui gode.
Per poter garantire il corretto funzionamento e l’operatività dell’Agenzia nella fase emergenziale, questa si è dotata di un apposito Business Continuity Team (BCT), costituito dal Direttore e dai Dirigenti di Area: gruppo di lavoro si è attivato per gestire anche un’eventuale chiusura totale delle sedi provinciali dell’Agenzia. Il Team ha raccolto da ogni Dirigente le attività essenziali e non posticipabili, considerando anche l’ipotesi di un’eventuale disposizione di chiusura degli uffici. Sono stati individuati i key-user da attivare e gli applicativi associati a queste attività, fruibili da remoto.
In tale contesto lavorativo l’AVEPA, consapevole del ruolo che è chiamata a svolgere, ossia iniettare liquidità finanziaria alle aziende, e ancor di più in un momento come quello attuale così estremamente difficile, ha ideato, sperimentato e implementato un sistema di “sopralluogo digitale” in grado di sostituire completamente i controlli presso le aziende beneficiarie (senza alcun costo aggiuntivo a carico della PA e del beneficiario).
Infatti, la normativa comunitaria e nazionale prevede che prima di procedere alla liquidazione dei premi e dei contributi, vengano eseguiti degli idonei controlli volti ad accertare che l’investimento sia stato realizzato, che i lavori siano stati completati e le opere, i macchinari e le attrezzature siano effettivamente quelle indicate nei documenti giustificativi delle spese per le quali è chiesto il contributo.
Una prima possibilità riguarda la facoltà, da parte del beneficiario stesso, di proporre uno o più filmati che ripercorrono l’attività di sopralluogo. La registrazione è acquisita agli atti ed è parte integrante del verbale di controllo che viene redatto dal funzionario dell’AVEPA dalla propria postazione di lavoro (tra l’altro in smart working).
La seconda prevede che il beneficiario produca ed invii tramite PEC delle fotografie georeferenziate degli interventi ammessi a finanziamento realizzati e rendicontati nella domanda di pagamento.
Tutti i beneficiari interessati hanno espresso il loro assenso e partecipato con entusiasmo e spirito collaborativo alle nuove modalità di controllo e di visita aziendale. L’AVEPA è riuscita così a conseguire performance di tutto rilievo liquidando, nel periodo 24 febbraio - 15 aprile, complessivamente 58 milioni di euro a favore di circa 23 mila aziende beneficiarie.
Nel caso AVEPA, dunque, la responsabilità dell’ente nei confronti degli stakeholder (le imprese agricole) e la flessibilità del management, ha consentito di non modificare gli obiettivi, i target e le tempistiche, ma soltanto di trasformare alcune procedure, utilizzando strumenti operativi innovativi e digitali che garantissero la piena continuità dell’azione amministrativa dell’Agenzia. AVEPA è riuscita a confermare i propri obiettivi approvati nel Piano performance di gennaio 2020, e ad adeguare la sua rapidità di azione a quella adottata e richiesta dalle piccole imprese private del settore primario con cui si confronta.
 
Conclusioni
 

Dall’emergenza si può imparare, crescere, innovare, conseguendo dei risultati che prima non si prefiguravano. “Nulla cambia se non sei tu a farlo cambiare” è un detto che, mai come ora, torna di attualità. La necessità sta costringendo la PA a fare quel salto generazionale e digitale che fino a ieri era, in molti casi, un buon proposito presente solo nei documenti di programmazione, e sta obbligando le amministrazioni a muoversi attraverso una cultura di maggior concretezza e minore adempimento.

È una strada ancora molto lunga, ma questa accelerazione farà scuola, e consentirà, anche nell’ambito della performance, di rendere più puntuale la definizione degli obiettivi, più moderna la gestione degli strumenti, più efficace il rispetto delle tempistiche.

 
 

Tratto da: Azienditalia 6/2020