Marzo, un pensiero al femminile

Scienziate, manager, docenti, imprenditrici crescono, fra uguaglianza e diversità.
 
Prima di incontrare Marie, con cui condividerà vita, passione e mestiere, lo scienziato Pierre Curie così scriveva nel suo diario: “Incontrare donne geniali nella nostra vita è una cosa molto rara. Le donne che posseggono il dono del genio vengono nascoste, vengono messe a tacere, vengono allontanate da chi sopra di loro fa massa, e diffonde valori bassi e ridicoli; in molti cercano in tutte le maniere di farsi beffa di loro, denigrandole e deridendole. Per loro il percorso verso la libertà è molto più difficile che per noi uomini.
 
Il trattamento è diseguale, e questa è una vera ingiustizia”. Era la fine del 1800, ed in quel periodo iniziò il sodalizio personale e professionale dei due studiosi della radioattività. Madame Curie, da esule polacca autodidatta viene consacrata Nobel per la fisica nel 1903 e Nobel per la chimica nel 1911, nonché simbolo della scienza al femminile. Molti anni sono passati, immense aperture si sono realizzate rispetto al talento ed all’emancipazione delle signore nell’orizzonte lavorativo, ma il mondo delle STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) è ancora in prevalenza maschile.
 
Poche studentesse scelgono di studiare queste materie (in Italia, solo il 12.6%) ed è ancora lontana l’inversione di rotta; rimane elevato il gap che le separa dai colleghi maschi rispetto a posizioni e retribuzioni. Un recente studio svedese quantifica in “due volte e mezzo” la bravura (efficienza ed efficacia) di una ricercatrice che aspiri ad un ruolo analogo a quello di un collega, parimenti qualificato. Anche la società odierna consacra la realizzazione femminile nel rapporto di coppia e nella maternità, ma le posizioni apicali non sono più precluse alle scienziate, alle manager, alle docenti universitarie, alle imprenditrici.
 
La normativa sulle quote rosa ha in parte sfondato il soffitto di cristallo, e nel Nordest italiano le presenze femminili nei CdA delle aziende quotate hanno superato il 32%, tuttavia non si può negare che i ruoli esecutivi e davvero di potere non vanno oltre il 10%. Formalmente adeguati, collegi e commissioni, pubblici e privati, restano ancora appannaggio dei “soliti nomi”, maschili o femminili che siano. Da rivalutare, dunque, anche gli estremi di una normativa di genere fortunatamente dirompente ma slegata dalle qualifiche e dal contributo fattivo apportato all’impresa.
 
Scelte imposte e affrettate dalla legge non sempre portano al miglioramento della performance aziendale, come negli auspici del legislatore e degli economisti, che correlano l’equilibrio di genere con lo sviluppo del business. Un rinnovato 8 marzo, dunque, con l’augurio, indirizzato soprattutto alle nuove generazioni, di credere insieme al valore dell’uguaglianza e alla ricchezza della diversità, vero motore della crescita culturale, sociale, della ricerca e dell’impresa.

Tratto da: Dentrocasa marzo 2018