Nel suo ultimo saggio, il noto psichiatra Crepet affronta il problema, grave quanto basta, dell’abuso di web e social da parte dei preadolescenti e adolescenti.
Esordisce con un episodio significativo: un passeggino, un bimbo di pochi mesi, un genitore e due piccole fonti luminose che si fanno largo nel buio. Papà e neonato incantati dinanzi a uno smartphone ciascuno, nella più totale incomunicabilità e assenza di contatto fra loro e col mondo esterno; natura, persone, dialoghi azzerati da uno sguardo e ascolto passivi e ipnotici dinanzi ai contenuti video, web, social.
Dal punto di vista del business, è un mercato che non ha confini: nel 2022, su una popolazione globale di 7,91 miliardi si contano circa 5,31 miliardi di utenze mobili (67,1%), 4,95 miliardi di utenti connessi a internet (62,5%) e 4,62 miliardi di persone attive in almeno un social media (58,4%).
Nel BelPaese, anche grazie all’accelerazione digitale data dal Covid19, le percentuali sono ancora maggiori: su 59 milioni di persone, circa 50 milioni sono connesse a Internet (84,7%) e circa 42,2 milioni sono iscritti ad almeno un social (71,5%). Lo smartphone è utilizzato dal 97% della popolazione tra i 16 e i 64 anni, il pc dal 74% e il tablet dal 55%. Il 39% è in possesso di una consolle per videogiochi, il 18% è abbonato a servizi streaming on demand. La messaggistica istantanea è anch’essa utilizzata in modo massivo: 33 milioni di italiani adoperano whatsapp, 23 milioni usano Messenger, 13 milioni Telegram e 4 milioni Skype.
Si tratta di canali strategici che forniscono feedback dettagliati sui consumatori, una vera e propria “intelligence di mercato” che apre le porte a forme di pubblicità e di promozione immediate e profilate rispetto agli utenti.
Altri numeri, preoccupanti, osservano il fenomeno sul piano culturale, sociale, educativo: il tempo medio su internet sale a circa 6 ore al giorno; almeno 700 mila adolescenti in Italia sono dipendenti da web, social, videogame, chiusi in una camera fra i device tecnologici.
Vittime di ansia, depressione, disturbi ossessivo-compulsivi, fragili e infragiliti da pandemia, guerre, crisi ambientali, che amplificano il disagio e riducono le capacità relazionali, i livelli di attenzione e di concentrazione. Altro rischio è rappresentato dall’eterogeneità di contenuti, poco filtrati dall’web e dal senso critico di chi legge. In questo grande mare si situano addirittura le esperienze di relazioni virtuali: ci si confronta con un robot che fornisce risposte “umanizzate” a quesiti di qualsiasi tipo.
I “ladri di tempo” rubano così risorse, esperienze, momenti che i ragazzi potrebbero dedicare all’attività fisica, alle arti manuali, all’approfondimento delle materie di studio più congeniali, al confronto vis a vis con i coetanei e gli adulti.
E’ chiaro a tutti, anche a psichiatri e sociologi, che non si possono demonizzare e demolire il progresso, la tecnologia, abilitanti in tutti i processi e le attività industriali, le comunicazioni a distanza ed uno-a-molti, spalancando porte di efficienza e tempestività, ma è a questo punto indispensabile stabilire delle regole, sial sul piano istituzionale sia in ambito familiare ed aziendale.
Ha fatto scalpore, in questo senso, il provvedimento del Governo cinese, che ha proposto il tempo limite giornaliero che i minori di 18 anni potranno trascorrere dinanzi allo schermo del cellulare; il limite varia per fascia di età, un massimo di 40 minuti per i bambini sotto gli 8 anni, di 60 minuti fra gli 8 e 16 anni, fino a 2 ore al giorno fra i 16 e i 18 anni. Opportuni pop-up ricorderanno ai bambini di spegnere i cellulari al termine del periodo di utilizzo consentito. L’uso di dispositivi da parte dei minori sarebbe inoltre consentito dalle 6 di mattina alle 22 serali, evitando collegamenti notturni. La proposta normativa è stata sottoposta al feedback dei cittadini, quindi al vaglio del Congresso, fino a trasformarsi in legge, facendo tremare i mercati: sono infatti crollati in un giorno i prezzi delle azioni delle società tecnologiche locali. Vi è peraltro un precedente: già nel 2021 il governo cinese aveva imposto il limite di tre ore a settimana di utilizzo dei videogiochi, per frenare la dipendenza giovanile; le società videoludiche locali si sono dunque rivolte al mercato esterno per frenare la perdita.
Un trade-off da studiare, e regolamentare, anche nei Paesi Occidentali, per trovare un punto di equilibrio fra le opportunità che tecnologia e big data offrono all’industria, alla società civile, alle telecomunicazioni, e i rischi per la salute e il benessere psichico della fascia di utenti più giovani, fragili e influenzabili.
Tratto da: Dentrocasa ottobre 2023