Brexit, affrontare la frontiera

Nuovi equilibri per l’Unione Europea, privata della sua isola più celebre e di una grande tradizione.

 
Per chi, come me, ha sposato una scuola internazionale per l’educazione dei propri figli, l’esito della Brexit è di notevole impatto.
Ondivaghi i sondaggi prima del voto, altalenante la visibilità della corrente indipendentista: il risultato netto è stato che i sudditi della Corona inglese, con il referendum del 23 giugno scorso, hanno deciso di abbandonare l’Unione europea, istituzione mai troppo amata oltre Manica, come testimonia la mancata adesione alla moneta unica, euro, adottata dagli altri Paesi aderenti.
Il fronte che ha deciso l’uscita dall’Europa (51,9% dei votanti) motiva questa scelta con la difficoltà di seguire le imposizioni dell’autorità centrale su temi quali l’accoglienza dei migranti e il ripianamento dei debiti di alcuni Stati membri, quale la Grecia, recentemente agli onori della cronaca per il suo quasi-default.
La scelta, ratificata dal Parlamento inglese, nell’arco di due anni diventa operativa: il Regno Unito, che si compone di Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda, dovrà a quel punto negoziare con ogni Stato europeo la propria politica di import-export e tutti gli accordi bilaterali relativi ai flussi di persone, merci, informazioni, denaro.
Repentina la risposta dei mercati finanziari, con il tonfo delle borse, ed altrettanto immediata la risposta politica, con le dimissioni del premier britannico.
Alcuni esperti proiettano scenari apocalittici: la drastica riduzione del PIL delle economie mature europee, impedite da rinnovati dazi e barriere all’ingresso e all’uscita dai confini inglesi, la difficoltà di transito per motivi di studio e di lavoro di tanti giovani europei, attratti da una esperienza che consente di approfondire la cultura e la lingua di Sua Maestà.
Le parti politiche e dell’opinione pubblica (i più giovani, in particolare) che hanno votato per rimanere nell’UE stanno alimentando la richiesta di nuovi referendum, e la proposta di abbassare di 5 punti percentuali la tassazione del Regno Unito, così da attrarre nuovi capitali ed investitori. Il timore è addirittura quello che l’inglese non resti più la lingua più parlata ed utilizzata nel business, vanificando gli sforzi formativi di milioni di persone.
Mai come in questo caso, le parti politiche che ci rappresentano a Bruxelles dovranno agire con buon senso, salvaguardando gli investimenti di tutti gli Stati membri e dei loro popoli, e ripensando a nuovi criteri e a nuove opportunità di scambio, regolamentate in modo comunque snello ed efficace.
God save the Queen: lei è davvero simpatica, nonostante tutto!

Tratto da: Dentrocasa settembre 2016