Nella mia attività professionale di consulente d’impresa incontro spesso dei casi di successo: piccole aziende nate in provincia dal genio di un imprenditori o di un piccolo nucleo familiare, ed esplose sui mercati internazionali, grazie alla forza dei loro prodotti, ai progetti innovativi, all’impegno quotidiano e capillare nel ricercare nuovi spazi commerciali.
La definizione altisonante è di “multinazionale tascabile”: dimensioni contenute rispetto ai colossi del settore, presenza produttiva o distribuzione in più continenti, marchio di nicchia affermato nel comparto di riferimento.
L’accezione è positiva, ma in realtà la tendenza dei grandi gruppi non segue sempre andamenti di successo: in questo periodo di lieve ripresa economica, sono i piccoli e snelli a sopravvivere e crescere. Spesso ingessate da processi decisionali macchinosi, le multinazionali presentano infatti costi fissi di gestione troppo elevati, con più stabilimenti, strutture produttive ed apparati commerciali ed amministrativi, allocati in varie Nazioni.
The Economist in un recente editoriale afferma “l’era delle multinazionali è finita”: secondo la celebre rivista economica, le economie di scala, il potere contrattuale, la forza del marchio che un gigante del business può esercitare scompaiono dinanzi all’aumento del costo del lavoro e della logistica anche nei Paesi in via di sviluppo, in cui le grandi realtà hanno delocalizzato la produzione.
Innegabili, in questo contesto, i vantaggi delle PMI e delle start-up, che sfruttano ed anzi precorrono i tempi delle nuove tecnologie, possono assecondare in modo flessibile i picchi di lavoro, si dotano di risorse umane e tecnologiche solo se ne hanno davvero bisogno, ampliando tempestivamente la capacità produttiva. Sono anche più libere di sbagliare, testare un’idea e poi aggiustare il tiro, senza aver mosso ingenti strutture ed investimenti ed aver accordato le posizioni di ambiziosi ed agguerriti manager.
Secondo uno studio McKinsey, il peso delle multinazionali sul PIL è del 10%, e la loro numerosità sul totale delle imprese è pari al 2%; gli spazi delle piccole-medie realtà industriali hanno dunque un peso rilevante sulla nostra economia sia in termini di profitti realizzati sia dal punto di vista dei livelli occupazionali: in un mercato ipercompetitivo, la sfida di ogni impresa sarà comprendere quale modello di business la potrà traghettare con successo attraverso il Terzo Millennio.
Tratto da: Dentrocasa gennaio 2016