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Cervelli in fuga, i giovani veneti all'estero più preparati e meglio pagati dei colleghi

Indagine dell'Osservatorio Professione Donna su 50 "under 32" che lavorano in 11 diversi Paesi: Il modello Italia non funziona

 

Se rimangono in Italia devono accontentarsi di poco: mentre all'estero trovano riconoscimenti e soddisfazioni. E' la sintesi dello studio sui "cervelli in fuga" presentato in occasione del convegno “Il Nordest che funziona” che si è svolto a Paodva organizzato dallo studio Tpc. L'indagine, realizzata per iniziativa dell'Osservatorio Professione Donna che raccoglie imprenditrici e professioniste del Nordest particolarmente attente al mondo del lavoro, ha interessato 50 giovani veneti, presenti in 11 Paesi del mondo, con un'età media di 32 anni e con profili di formazione elevati. Il motivo principale per cui si sono trasferiti all'estero è l'Italia non offre le stesse opportunità (37%). Inoltre il 33% si è trasferito perché ha ricevuto una proposta importante. Solo per il 17% cambiare Paese è un passaggio necessario. 
 
Sotto questo profilo i giudizi sull'Italia non sono critici: soltanto per l'8% il modello Italia non funziona, e per il 2% l'Italia non è una buona scuola per iniziare a lavorare. Ma non è solo un problema di offerta. La cosa che manca di più quando si lavora in Italia è proprio la fiducia nei giovani per il 28%, e la possibilità di avviare nuovi progetti per il 19,10%. Molte le critiche anche nella carenza dei servizi (14), e nell'incapacità di pianificare del nostro Paese (10). Dai contatti personali, gli intervistati sanno che gli amici rimasti in Italia hanno trovato lavoro perchè si sono accontentati di posizioni inadeguate (56,52%); grazie alla qualità del loro percorso di studi per il 26%, attraverso contatti familiari per il 13%, e perchè sono collocati in categorie protette per il 4%.
Non emerge un fenomeno “bamboccioni”: trasferirsi lontano dalla famiglia è un'avventura con rischi e sacrifici, ma con grandi soddisfazioni per il 51%; un investimento professionale utile, ma che va a scapito degli aspetti della vita privata per il 19%; un passaggio indispensabile per acquisire piena autonomia per il 14%, un percorso professionale come altri per il 14%. Sulla formazione professionale il dato è molto positivo: per il 52% gli italiani hanno una preparazione analoga, ma per il 36% è decisamente superiore, contro il solo 10% che la ritiene inferiore. 
 
Il dato più clamoroso viene comunque dalle regole del mercato del lavoro in Italia: per il 32 ulteriormente liberalizzato, e per un altro 32% va liberalizzato, ma con norme più rigide sui trattamenti di base. Inoltre per il 24% il trattamento economico deve essere più elevato per i contratti a termine. Solo il 10% ritiene che il sistema debba mantenere maggiori garanzie per il lavoratore rispetto al datore di lavoro. Ma, ferma restando le necessità di rinnovo della politica sulla quale tutti convengono, da dove bisogna cominciare per rilanciare l'immagine Italia all'estero: dalla ricostruzione di un senso dello stato in tutti i cittadini italiani per il 33%; seguono un sistema mediatico più credibile (12%); una adeguata formazione della classe imprenditoriale (11%), e del management delle aziende pubbliche (10%). 
 
Infine, per quanto riguarda il Veneto, gli intervistati ritengono che gli stipendi offerti ai giovani siano bassi come nelle altre regioni: ma rispetto alla media nazionale la percentuale di giovani collocati al vertice è più elevata per il 41%. Per Lisa Zanardo, curatrice del rapporto: “Riassumendo questi risultati in termini di spending review, lo stato italiano spende e forma ottimi profili professionali, che regala alle imprese estere”.
Tratto da: Il Gazzettino 13 ottobre 2012