Il mondo retail evolve, diventando punto di incontro fra generazioni, ed assumendo un ruolo sociale, più vicino al consumatore. La tendenza degli ultimi decenni ha visto la progressiva cessazione dei negozi di prossimità, a favore delle grandi insegne, che concentrano clientela, brand, prodotti in uno store attrezzato, accessibile e di grandi dimensioni. Nel nostro Paese la quota di mercato dei primi cinque retailer è pari al 57%, inferiore a quelle di Francia (78%), UK (75%) e Germania (73%).
L’inizio della pandemia ha visto una “bolla” di crescita della distribuzione organizzata: da marzo a giugno 2020 la grande distribuzione organizzata, ha segnato crescite a doppia cifra, con focus in particolare nel segmento alimentare, unica valvola di sfogo e di svago nel periodo di duro lockdown. I periodi a seguire hanno visto l’alternarsi di chiusure ed aperture, che hanno costretto il mondo del retail ad una nuova flessibilità, ad evitare il vuoto a scaffale ma anche l’accumulo di beni deperibili, proseguendo con un maggiore orientamento sulla pressione promozionale e sul marketing da parte delle aziende e riscontrando la defocalizzazione del consumatore, dai beni essenziali all’acquisto velleitario e d’impulso.
Il Governo giapponese ha proposto il modello Sociale 5.0, ponendo al centro il benessere dell’individuo, identificando fra i fattori abilitanti proprio il retail specializzato. Conoscere ed assecondare le preferenze del consumatore, disporre spazio e relazioni virtuose nell’esperienza di acquisto, investire in nuove modalità di comunicazione e in nuove tecnologie: questi i pilastri del modello recentemente coniato nel Paese del Sol Levante, molto attento agli effetti demografici, quali il calo della fertilità, il progressivo invecchiamento della popolazione e la contestuale crescita dell’aspettativa di vita.
Segmentare i bisogni e le attitudini del consumatore di tutte le età consente dunque di progettare anche il nuovo ruolo dello store.
Ecco dunque le sei generazioni a confronto: i Silent Gen, nati prima del 1945, circa il 12.5% degli italiani, e i Baby Boomers, nati tra il 1946 e il 1964, la fascia più numerosa, un quarto della popolazione sono profili che prediligono il possesso dei beni, sono sensibili al brand e alla qualità dei prodotti, fanno vita sedentaria e utilizzano giornali e TV come principali fonti di informazione. Vi sono poi i GenX (1965-1980) e i GenY (1981-1995), complessivamente il 37% della popolazione: privilegiano l’accesso al bene, più del possesso, sono disposti a rateizzare acquisti più importanti e lussuosi e conducono uno stile di vita più sportivo ed attivo. Gen Z (1996-2010) e Gen Alpha (nati dopo il 2010), corrispondenti rispettivamente al 17% e all’8% degli italiani, sono propensi alla condivisione dei beni di consumo, considerano rilevante l’opinione degli altri e utilizzano i social come primo canale di informazione.
Il punto vendita fisico diventa quindi il crocevia fra generazioni, affiancato dal canale digitale che amplifica la fidelizzazione e la conoscenza del consumatore, in una realtà aumentata e virtuale.
L’esperienza olandese (ove quasi l’8% degli abitanti, ovvero 1,3 milioni di persone ha più di 75 anni) su impulso governativo ha portato all’utilizzo delle casse lente, che danno la possibilità di condividere e confrontarsi senza fretta, contrastando la solitudine e scegliendo con maggiore accuratezza i prodotti da acquistare.
Altri Paesi del Nordeuropa hanno ampliato le aree retail con spazi di co-working dedicati al tempo libero: il marketing esperienziale qui si coniuga con le esigenze della famiglia che, insieme alla spesa tradizionale, dedica qualche ora del proprio tempo libero al passeggio nei centri commerciali, fra giochi dei bimbi e consumo fast food anche per gli adulti.
In questo cambiamento di stili di vita e dunque di posizionamento dei retailer, va sottolineato un altro fenomeno: le rotture di stock nei supermercati cui abbiamo assistito nelle fasi acute della pandemia hanno destrutturato le nostre scelte di acquisto, inducendoci all’infedeltà rispetto a prodotti e brand tradizionali. I punti vendita sono chiamati ad offrire piccoli incentivi e diversivi per attrarre ed orientare i clienti, con un’attenzione ai risvolti psicologici intergenerazionali, in questa nuova normalità multicanale: da un lato la necessità di aggregazione e scelta del prodotto a scaffale fisico, dall’altro la propensione alla ricerca immediata di informazioni ed articoli via web e la semplicità di acquisto e pagamento online.
La filiera della GDO conta nel nostro Paese oltre 30 mila punti vendita, fra iper, super, discount, e circa 300 mila addetti; opera 20 ore su 24 e non conosce giorno di chiusura, generando un giro di affari annuo di 104 miliardi di euro. Il settore è fondamentale per la nostra economia, risalendo lungo la catena del valore ai produttori del made in Italy, che si concentrano sulla realizzazione di prodotti e beneficiano del forte impulso e delle strategie commerciali e distributive dei loro partner retail.
Uno scenario complesso e in continua evoluzione, che continuerà a sperimentare nuovi modelli organizzativi e proposte lifestyle, per tutte le generazioni, così da garantire nel medio-lungo termine la tenuta del business e dell’occupazione.
Tratto da: Dentrocasa dicembre 2022