Quando la partita iva è donna

“Se vuoi che qualcosa venga detto, chiedi ad un uomo. Se vuoi che qualcosa venga fatto, chiedi a una donna”. Margaret Tatcher
 
A dispetto della crisi, dell’instabilità politica e sociale, dell’allarmismo dei media e della crescita zero, sono le donne a trainare la ripresa o comunque ad osare di più quando si tratta di fare impresa.
Le partite iva al femminile crescono, superando il 40% della quota totale delle nuove aperture, con incrementi significativi anche al Centro-Sud. 
Il tema dei “diritti”, siano essi ferie o maternità, tocca dunque sempre meno le signore, disposte a mettersi in gioco anche individualmente: oltre il 70% delle start-up femminili sono infatti persone fisiche, che avviano un’attività libero professionale (avvocati o commercialiste, geologhe o ingegneri) o commerciale, nei settori più diversificati, dal petfood alla cosmetica, dall’agriturismo ai servizi sociali.
Già nel 1992 le normative del nostro Paese parlano di agevolazioni per le imprese femminili, e ad oggi sono disponibili diverse soluzioni per le piccole aziende in rosa: contributi a fondo perduto, per almeno il 50% del capitale (il resto rimborsabile a rate mensili), agevolazioni per l’acquisto di alcuni prodotti e servizi, fondi e corsi specifici per la formazione del personale, accesso semplificato al microcredito, fondo di Garanzia supportato dallo Stato. 
Il sistema delle Camere di Commercio, le associazioni di categoria e gli ordini professionali possono fornire le opportune informazioni e, in alcuni casi, aiutare la neo-imprenditrice o la neo-professionista nella presentazione della documentazione per accedere a bandi e finanziamenti agevolati. 
Un recente studio di Confesercenti afferma che le imprese femminili crescono più velocemente di quelle maschili, ma hanno un’esistenza più breve: il ciclo di vita medio di un’impresa ‘rosa’ (12,9 anni) è infatti di quasi due anni più breve rispetto alla media delle imprese in generale (14,7 anni). 
Nonostante i progressi fatti fino ad ora, le imprenditrici ancora devono fare i conti con criticità superiori alla media durante l’attività economica: lo scarso raggiungimento delle pari opportunità rispetto agli uomini (il 95% delle intervistate lamenta forme di discriminazione subite in ambito professionale) e la difficoltà di conciliare lavoro e impegni familiari (per il 50% del campione le misure messe in atto per alleviare i problemi di inclusione sociale ed economica delle donne lavoratrici sono inadeguate).
Fragili, ma determinate e dinamiche, le nuove imprese al femminile, che danno un contributo concreto a sostegno dell’occupazione, meritano dunque supporto ed attenzione da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica. E le donne, da parte loro, debbono “fare quadrato”, guadagnando centimetro dopo centimetro la valorizzazione delle loro idee, della loro propensione al rischio, del loro equilibrio nel gestire situazioni critiche.
Citando una celebre scrittrice francese: non si nasce donne, si diventa.

Tratto da: Dentrocasa marzo 2019