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La maternità penalizza la carriera e la «bella presenza» conta troppo

I risultati del sondaggio sulle laureate dell’Università di Padova evidenziano i vecchi vizi del mondo del lavoro: nelle posizioni di vertice si preferisce ancora mettere un uomo.
«La preparazione delle donne laureate è considerata ottima: ma nelle posizioni direzionali è sempre meglio mettere un uomo. Se poi si parla di maternità la carriera è finita. Tutto questo, al di là dei rilevanti aspetti sociali, compromette la capacità competitiva del nostro Paese». E’ la sintesi di Lisa Zanardo, coordinatrice dell’Osservatorio Professionale Donna, che raggruppa un centinaio di imprenditrici e professioniste del nord est, e curatrice del report «Giovani laureate: in azienda ci accolgono così» realizzato dall’Osservatorio in collaborazione con l’Ateneo padovano.
 
Il sondaggio, presentato martedì alla giornata «Per un nuovo 8 marzo» organizzata dall’Università di Padova, ha coinvolto 10 mila studentesse laureatesi negli anni 2014 e 2015. I risultati hanno confermato i problemi cronici della presenza femminile nel sistema economico italiano. Dopo aver mosso i primi passi nel mondo del lavoro, il 37% ha percepito un’accoglienza diversa, più diffidente, rispetto agli uomini: per il 34% la chiusura è maggiore nei ruoli più elevati. La buona notizia è l’aumento della considerazione per la preparazione femminile: secondo il 48% delle intervistate, questa è percepita positivamente sul luogo di lavoro. Il 23% avverte addirittura una considerazione maggiore rispetto ai colleghi, mentre il 20% delle partecipanti all’indagine afferma l’esatto contrario.
 
Meno esaltanti i risultati per quanto riguarda la cosiddetta “bella presenza”, fattore che per il 79% delle neolaureate conta ancora molto. Anzi, ancora troppo. Solo per il 12% la bella presenza non influisce sul proprio successo lavorativo. Per il 69% delle intervistate, infine, la maternità è ancora percepita come un problema dalle aziende. Il 37% al momento ad avere un figlio proprio non ci pensa; ne parlerà solo dopo i 30-35 anni.

Tratto da: Corriere del Veneto del 8 marzo 2016