Nel mese in cui esplode la natura, e con lei il fiore della mimosa, simbolo della celebrazione dell’8 marzo, non può mancare una riflessione sull’economia al femminile.
E’ di recente approvazione la norma che porta al 40% la quota rosa presente nel CdA delle società quotate e pubbliche, ma è sicuramente una forzatura insufficiente a sfondare quel “soffitto di cristallo” che spesso impedisce alle manager in gonnella, colte, preparare e dedicate al business, di raggiungere e mantenere nel tempo posizioni apicali, proponendo un modello di leadership lontano dagli stereotipi e tagliato sulle caratteristiche migliori dell’animo femminile, quali l’empatia, la capacità relazionale, la sensibilità, la capacità di ascolto.
Prima di questo divario, ai pinai alti, va colmato un gap alla base, che riguarda l’accesso al lavoro da parte delle donne: gli ultimi dati Censis evidenziano un tasso di attività femminile pari al 56,2%, contro il 75,1% maschile. In Italia dunque lavorano solo 5 donne, su 10 che potrebbero farlo; il picco positivo è a Bolzano, con il 71% di donne lavoratrici, e quello negativo in Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, con solo il 30% di occupazione femminile, tra l’altro a bassa qualificazione.
La correlazione fra sviluppo territoriale e numerosità di donne al lavoro è ovunque netta: ove si garantisce l’occupazione senza discriminazioni di genere, la ricchezza familiare aumenta e si creano ulteriori opportunità, per la crescita del potere d’acquisto e per l’incremento del business dei servizi alla persona.
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, persino il tasso di natalità è più elevato dove la donna ha maggiore impatto nella vita economica della società: più sicurezze e più redditi inducono le famiglie ad allargarsi, in modo pianificato e ragionato.
Un sondaggio fra imprenditrici fa emergere tuttavia anche l’altro lato della medaglia, una sorta di “autoesclusione” da parte della donna rispetto a scelte di vita e di carriera: spesso, in occasione della maternità, gettano la spugna, con immediati riflessi sulla crescita professionale. La gravidanza non va invece vista come un problema di salute, né la presenza dei figli come un ostacolo all’attività lavorativa; i tempi sono cambiati, la tecnologia ed il lavoro agile consentono di limitare la presenza fisica in ufficio, e di essere valutate sulla base dei progetti realizzati e dei risultati ottenuti. L’welfare, inteso come conciliazione vita-lavoro, e come benefit per i lavoratori, è uno strumento oramai conosciuto ed utilizzato in quasi tutte le realtà aziendali.
Sicuramente valida per le giovani più ambiziose è la scelta di un percorso STEM, orientato alle discipline scientifico-tecnologiche: consente di accedere con più facilità a nicchie di mercato profittevoli e all’avanguardia, che offrono attività professionali qualificate e qualificanti, in cui la componente di genere non prevale sulla competenza.
Tratto da: Dentrocasa marzo 2020