Neolaureate: meglio belle che madri

Emigrare all’estero e posticipare la maternità, il prezzo da pagare per esprimere qualifiche e formazione.

 
A dispetto di progetti e proclami sulle pari opportunità e sulla conciliazione famiglia-lavoro, la voce delle neolaureate esprime un discreto pessimismo ed una stabile preoccupazione.
Conseguono la laurea, con votazioni finali più elevate rispetto a quelle dei colleghi maschi, ma la miglior preparazione non è condizione sufficiente a queste giovani volonterose per emergere nel mondo del lavoro e superare antichi stereotipi.
 
Un recente sondaggio svolto da Osservatorio Professionale Donna, condotto su 10mila laureate in un Ateneo Veneto e su 7mila laureate in un’Università pugliese, ha evidenziato che un netto 79% delle intervistate ritiene la classica “bella presenza” un fattore determinante per essere accolte in una realtà lavorativa, sia al Nord sia al Sud.
La maternità resta un vago orizzonte: il 40% delle neolaureate non la mette tra i propri desiderata, il 33% posticipa di 5 anni tale progetto di vita, il 28% addirittura afferma che ci penserà fra dieci anni.
Il quadro complessivo evidenzia più occupazione al Nord ma più ottimismo e determinazione al Sud: a due anni dalla laurea il 49% delle intervistate pugliesi è disoccupato, contro il 30% delle colleghe venete.
L’emigrazione sfiora il 10%: molte giovani non esitano ad intraprendere un percorso professionale oltre confine, per arricchire esperienza e curriculum.
 
Nonostante la definitiva estensione nel 2015 delle “quote rosa”, obbligo normativo per i CdA pubblici e per quelli delle società quotate, il soffitto di cristallo è ancora un freno invisibile ma reale per le donne ad elevate qualifiche. Nelle PMI la figura femminile è invece valorizzata, spesso però a supporto (e all’ombra) del titolare: un fondamentale apporto al business quello di mogli, figlie, sorelle, collaboratrici, riconosciuto dai numeri e dall’estro del tessuto imprenditoriale del nostro Paese. Una manager in gonnella suscita ancora scalpore, e sono rare le professioniste realizzate fuori casa ed organizzate in famiglia.
La flessibilità oraria in molte attività è ancora un’utopia, è praticata in meno del 10% delle aziende, e raggiungere posizioni apicali richiede ancora alle donne italiane sacrifici e rinunce.
 
Non smettiamo però di crederci e di crescere, di formarci e di impegnarci, ricordando la grande scienziata Rita Levi Montalcini “Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza”.

Tratto da: Dentrocasa marzo 2017